Gli impianti condominiali

La Riforma del Condominio con la legge 11 dicembre 2012 n. 220, ha ridisegnato e riscritto, sin dal suo interno, gran parte degli articoli del codice civile, dal 1117 al 1138, oltre che delle disposizioni di attuazione al codice civile, rivoluzionando la materia condominiale e dando, così, ai proprietari delle unità immobiliari, agli amministratori di condominio e ai vari condomini un insieme di indicazioni e regole per capire come comportarsi per vivere meglio gli spazi, gli impianti e i servizi comuni.

 

Il testo dell’art. 1117 c.c., così come sostituito dall’art. 1 della legge n. 220/2012, in vigore dal 18 giugno 2013, pur senza apportare eclatanti innovazioni, ma recependo, in gran parte, gli orientamenti cui è pervenuta l’eleborazione della giurisprudenza di legittimità più recente, dà una definizione più articolata della nozione di “parti comuni” dell’edificio e ne integra l’elenco, tuttora non tassativo, ma meramente esemplificativo, già previsto nella precedente formulazione, anche alla luce dei bisogni emersi negli ultimi anni e delle nuove tecnologie il cui uso si va sempre più diffondendo. Tra le novità, per esempio, sarà più facile distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, cambiano le regole per la costituzione dell’assemblea, vengono modificati i quorum deliberativi, differenziati a seconda degli interventi.

Come già accennato, a integrazione della precedente formulazione codicistica dell’art. 1117 c.c., sono ora espressamente inseriti, nell’elenco delle parti comuni:

  • i pilastri e le travi portanti;
  • le facciate degli edifici;
  • le aree destinate a parcheggio, i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali all’uso comune;
  • gli impianti per il condizionamento dell’aria;
  • gli impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo.

Nella nuova enunciazione gli impianti che ricadono tra le parti comuni – prima indicati come “gli acquedotti, le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili” – vengono ora definiti, con terminologia più moderna, “gli impianti idrici  e fognari e sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e il condionamento dell’aria. Nel testo novellato, infine, vengono definiti in modo diverso e in maniera decisamente di più respiro, rispetto al testo precedente, gli impianti che ricadono tra le parti comuni. Impianti centralizzati, dunque, che sono da considerarsi comuni fino al punto di utenza, vale a dire, secondo la forse più restrittiva espressione usata nel vecchio testo, fino al punto della loro diramazione ai locali di proprietà esclusiva, fatte salve le disposizioni dettate da normative di settore in materia di reti pubbliche.

L’IMPIANTO IDRICO

è l’insieme delle tubature generalmente di acciaio zincato, predisposte per distribuire l’acqua alle singole utenze. Anche l’impianto idrico è di proprietà comune per le parti comprese tra il misuratore dell’Azienda erogatrice e la diramazione nelle singole proprietà esclusive (art. n. 1117 del c.c.). Generalmente si compone di una conduttura ad anello, posta al piano più basso dell’edificio, che funge da collettore da cui si dipartono le colonne montanti che, salendo verticalmente, vanno a servire le varie unità immobiliari poste ai piani soprastanti. Alla sommità di ciascuna colonna montante è posta una valvola “Jolly” per il richiamo dell’aria nel caso di mancanza di flusso idrico. L’impianto può essere dotato di autoclave al fine di garantire l’affluenza dell’acqua ai piani più alti nel caso di ridotta pressione da parte dell’ente erogatore o a causa della particolare posizione dell’edificio servito. Anche questo impianto rientra nelle proprietà comuni. Alla parte di impianto che è comune deve provvedere (e ne ha la relativa responsabilità) il condominio; alla parte di impianto di proprietà’ esclusiva debbono provvedere i singoli condomini, i quali non possono quindi pretendere che l’amministratore mandi a riparare i loro rubinetti o guasti e perdite di ogni genere che non derivino dai tubi montanti comuni.
Oneri di conservazione, riparazione e manutenzione dell’impianto
Il condominio è tenuto a mantenere in efficienza l’impianto idrico comune, trattandosi di un servizio essenziale e irrinunciabile, ed ogni indispensabile riparazione di esso ha quel carattere di urgenza che legittima l’amministratore a provvedere anche senza la preventiva approvazione della spesa da parte dell’assemblea (ultimo comma art. n. 1135 del c.c.). Gli oneri derivanti dalla conservazione, riparazione e manutenzione dell’impianto vengono normalmente ripartiti tra i condomini in ragione delle quote millesimali di ciascuno, se tutte le proprietà’ esclusive usufruiscano del servizio, altrimenti parteciperanno proporzionalmente alla spesa solo i condomini serviti. Ciò’ salvo diverse disposizioni del regolamento di condominio.
Installazione del servizio nelle proprietà esclusive sprovviste
A norma dell’art. n. 1102 del C.C. ciascun condomino ha diritto, in ogni tempo, ad allacciarsi all’impianto comune dell’acqua, se la sua proprietà’ esclusiva non e’ servita, o anche di creare nuovi allacciamenti. Ogni spesa di allacciamento è a suo carico e le opere debbono essere fatte in modo da non danneggiare l’impianto e le parti comuni. L’allacciamento comporta, ovviamente, l’onere del condomino che lo ha effettuato di partecipare alle spese di manutenzione, esercizio e conservazione dell’impianto nonché di pagare la sua quota di consumo, secondo i criteri in uso nell’edificio di cui si tratta.
Ripartizione delle spese secondo le quote millesimali
All’interno dell’edificio il consumo dell’acqua potabile varia da condomino a condomino, a seconda dell’ampiezza della proprietà esclusiva, del numero di abitanti e della destinazione (si veda ad esempio la differenza di consumo tra un appartamento e un magazzino di commercio all’ingrosso o fra un negozio di pescheria ed uno di ottica). Ne dovrebbe conseguire l’inapplicabilità alla specie del 1* comma dell’art. 1123 del C.C. e l’applicabilità dei commi successivi del medesimo articolo del codice civile. Va quindi ritenuta illegittima una delibera assembleare che approvi il criterio di ripartizione delle spese di acqua potabile in base alla tabella millesimale e ciò indipendentemente dalla circostanza che le proprietà’ esclusive siano o non siano munite di contatore, perché’ la ripartizione delle spese per l’acqua potabile deve avvenire in base ai consumi e non per millesimi (Appello di Roma, sentenza n. 2116 del 2.5.1959), o, comunque, in base all’uso potenziale che ciascun utente può fare ( Cassazione, sentenza n. 1253 del 14.2.1985). E’ criticabile, quindi, l’operato di quell’amministratore che, in mancanza di norme del regolamento o di espressa delibera assembleare, ripartisca la spesa secondo le quote millesimali. Sennonché non sono affatto rari i regolamenti di condominio “contrattuali”, e quindi modificabili solo con l’unanimità’ dei consensi, i quali aggiungono le spese dell’acqua potabile all’elenco delle spese generali che vanno ripartite fra i condomini, proprio in base alla tabella millesimale. In questo caso l’amministratore dovrà attenersi al regolamento, aggiungere le spese di acqua a quelle generali e ripartirle per millesimi di comproprietà sperando che nessuno dei condomini sollevi delle eccezioni, nel qual caso l’amministratore non potrà fare altro che convocare l’assemblea ponendo all’ordine del giorno l’eventuale “modifica del criterio di ripartizione delle spese di acqua potabile”.

Ripartizione delle spese secondo il numero degli abitanti
Il metodo di ripartizione che è preferibile adottare quando non esistano ne’ contatori nelle proprietà esclusive, ne’ una norma di regolamento, dovrebbe essere quello per numero di abitanti. Tale criterio è certamente il più adatto per stabilire dei consumi presuntivi abbastanza attendibili, anche se la sua pratica applicazione presenta alcune difficoltà, specie se il condominio comprende anche locali ad uso diverso dall’abitazione. Per quanto riguarda gli appartamenti, il numero degli abitanti va determinato indipendentemente dall’età di essi, essendo nozione comune che i bambini provocano un consumo di acqua almeno pari a quello degli adulti. Per quanto riguarda, invece, i locali ad uso diverso dall’abitazione non si può parlare, seriamente, di “abitanti” in relazione al consumo di acqua. In molti casi si assumono come “abitanti” i titolari e dipendenti di ciascun ufficio o azienda, senza tenere conto dell’attività
in concreto svolta, che è l’unica ad influire sull’entità del consumo. In linea generale, quando il consumo di acqua non dipende dal tipo di attività esercitata, il criterio di considerare come abitanti le persone che lavorano nelle proprietà esclusive è errato per eccesso. Potrà esserlo, invece, per difetto, quando l’acqua venga consumata anche per lo svolgimento dell’attività aziendale (ad esempio, lavanderie, bar, ristoranti, officine che usano l’acqua per raffreddamento delle macchine ecc..). Per tutte le unità immobiliari ad uso diverso dall’abitazione nessun criterio, che non sia quello di misurazione effettiva (contatore) o di computo “virtuale” (cioè rapportato all’uso effettivamente presumibile) del numero di abitanti, può essere sicuramente valido. Dovrà infine tenersi conto (ove taluno sollevi delle eccezioni) di eventuali vasche, piscine e giardini pensili di proprietà’ esclusiva, aumentando con ragionevole presunzione il numero di abitanti delle proprietà esclusive a cui servono, che, anche in questo caso, diventerà “virtuale”.
Esistenza di contatori in tutte le proprietà esclusive
L’esistenza di contatori del consumo di acqua potabile in ciascuna proprietà esclusiva offre la possibilità di ripartire esattamente la spesa, in base alla lettura dei contatori, e, quindi, una corretta applicazione dei criteri che ispirano i commi 2* e 3* dell’art. 1123 del c.c. Sia che il regolamento di condominio disponga che la ripartizione deve essere fatta in base alla predetta lettura, sia che non disponga nulla, la ripartizione dovrà certamente farsi in base alle letture dei contatori. Se pero’ un regolamento “contrattuale”, nonostante l’esistenza dei contatori nelle proprietà esclusive, dispone che la ripartizione debba avvenire in modo diverso (secondo i millesimi o gli abitanti di ciascuna unita’ immobiliare ecc.) non si potrà tenere conto dei contatori: il criterio di ripartizione, essendo contrattuale, potrà essere modificato soltanto con l’unanimità di tutti i condomini e in forma scritta.
Installazione autoclave
Le questioni condominiali sulla installazione dell’autoclave, necessaria per ovviare alle deficienze di erogazione dell’acqua potabile nei piani alti, sono in genere caratterizzate dalla resistenza, rispetto alla spesa, da parte dei condomini dei piani bassi, che non risentono dell’inconveniente e, al contrario, dalla pretesa dei condomini dei piani alti che la spesa vada ripartita fra tutti e non sia posta solo a carico di essi. Occorre ora precisare, ai fini della maggioranza occorrente per la delibera di installare l’autoclave, come si inquadri tale opera nelle norme del condominio. I condomini che vogliono impedire l’installazione sostengono spesso che si tratti di una innovazione: la tesi e’ infondata. L’autoclave non muta ne’ la consistenza ne’ la destinazione dell’impianto idrico esistente, bensì’ lo modifica. Escludendo che l’installazione dell’autoclave sia una innovazione e ammettendo che si tratta, invece, di una modifica della cosa comune, si hanno due distinte conseguenze:

  • la prima che, in sede assembleare, non occorreranno maggioranze speciali per la delibera bensì quelle ordinarie;
  • la seconda che, al di fuori dell’assemblea e senza che occorra il consenso di questa o dell’amministratore, ciascun condomino, o gruppo di condomini può provvedere all’installazione assumendone la spesa (salvo che esista una norma del regolamento di condominio la quale vieti di effettuare opere sulle parti e impianti comuni senza uno dei predetti consensi);

La spesa va ripartita fra tutti i condomini secondo le rispettive quote millesimali, a nulla rilevando la diversa utilità’ dell’opera. L’installazione dell’autoclave è infatti riferibile ad un servizio essenziale (in quanto compensa la carente erogazione dell’acqua ai piani più alti dell’edificio) e non può quindi esimere alcun condomino dal pagamento della relativa spesa anche se in effetti alcuni condomini non se ne avvantaggiano (Appello di Roma, sentenza n. 878 del 30.1.1962, Cassazione n. 7172 del 29.11.1963). La delibera vincolerà’ anche la minoranza dissenziente.

Sicurezza dell’impianto
Gli impianti idrosanitari nonché quelli di trasporto, trattamento, uso e consumo di acqua all’interno degli edifici condominiali sono soggetti, a partire dal punto di consegna dell’acqua fornita dall’ente distributore, alla legge 5 marzo 1990, n. 46 in tema di sicurezza degli impianti. Per l’installazione, la trasformazione o l’ampliamento di tali impianti occorre, a norma di legge, rivolgersi a imprese o ditte abilitate le quali, al termine dei lavori, sono obbligate a rilasciare una dichiarazione di conformità degli impianti realizzati nel rispetto delle norme di legge.

L’IMPIANTO DI CONDIZIONAMENTO
Per impianto di condizionamento si intendono quegli impianti in grado di tenere sotto controllo tutti i parametri da cui dipende il benessere ambientale, con particolare riferimento, quindi, non solo alla temperatura e all’umidità dell’aria, ma anche alla purezza di quest’ultima.
Gli impianti di condizionamento dell’aria possono essere di due tipi:
- Centralizzati
- Singoli
I principali vantaggi di questo tipo di impianti possono essere sintetizzati come segue:
- Buone possibilità di controllo delle condizioni ambientali;
- Completa assenza di tubazioni, cavi elettrici, filtri ed altro negli spazi condizionati;
- Possibilità di localizzare i principali componenti di impianto in un’unica centrale di trattamento dell’aria;
- Facilità di ricorrere ai ricuperatori di calore tra aria esterna ed aria di espulsione.
Per contro presentano alcuni non secondari svantaggi:
- Scarsa efficienza energetica, in particolare per le soluzioni impiantistica che fanno abbondante uso del post-riscaldamento;
- Ingombro e costo dei canali d’aria;
- Necessità di accurati bilanciamenti della rete di canali.
Gli impianti di climatizzazione azionati da un fluido liquido, aeriforme, gassoso e di qualsiasi natura o specie sono soggetti alle norme della L. 5 marzo 1990 n. 46, in tema di sicurezza degli impianti. Pertanto, per l’installazione, la trasformazione così come per l’ampliamento di tali impianti, il proprietario o l’amministratore di condomino dovrà rivolgersi solo ad imprese o ditte abilitate ai sensi di legge e ottenere, preventivamente all’inizio dei lavori, l’obbligatoria redazione di un progetto . Viceversa, sono esclusi dalla presentazione di detto progetto i lavori concernenti la manutenzione ordinaria di tali impianti.
Tutti i condizionatori sono dotati di un termostato che consente di scegliere la temperatura preferita che permette di programmare una o più accensioni e relativi spegnimenti, nel corso della giornata. Oltre alla funzione di raffreddamento, gli impianti di condizionamento possono riscaldare l’aria e , soprattutto, possono deumidificarla. Anche se la deumidificazione di una corrente d’aria può avvenire per via chimica, impiegando sostanze assorbenti, il processo di gran lungo più diffuso nel condizionamento dell’aria è quello che utilizza la condensazione del vapore acqueo su di una superficie fredda, anche perché spesso nelle applicazioni pratiche vi è proprio la necessità di abbinare il raffreddamento alla deumidificazione.
L’installazione di condizionatori d’aria è una tendenza piuttosto recente pertanto, i costi energetici e la difficoltà di differenziare i consumi di ciascun appartamento sconsigliano di adottare impianti centralizzati. Comunque, laddove esistano impianti di aria condizionata condominiale si applicano gli stessi principi e le stesse disposizioni di legge che valgono per l’impianto di riscaldamento centralizzato, con la sola differenza che il criterio più corretto per ripartire i consumi dovrebbe essere quello della cubatura.
Gli impianti individuali, che sono certamente i più frequenti e si stanno diffondendo sempre più rapidamente, possono essere di due specie:
-Fissi (da parete, da pavimento o da soffitto);
-Trasportabili : compatti (un unico pezzo), split (due unità di cui una, rumorosa, va posta all’esterno).
Nel caso siamo in presenza di più ambienti da condizionare, è chiaro che deve essere preferita la soluzione dell’impianto fisso. Nel caso si volesse utilizzare l’impianto di condizionamento anche come impianto di riscaldamento, si consigliano i modelli split con pompa di calore che hanno consumi nettamente inferiori rispetto ai modelli che riscaldano con resistenza elettrica. Il sistema di condizionamento deve essere progettato in funzione all’ambiente che dovrà essere condizionato: infatti, un condizionatore con elevata potenza non riuscirà a deumidificare l’aria. Viceversa, quello poco potente funzionerà sempre al massimo delle sue possibilità rischiando un cattivo funzionamento e, cosa ancora più preoccupante, gravi sprechi energetici. Per l’installazione, ma soprattutto, per la scelta più opportuno alle singole esigenze, sarà bene affidarsi a tecnici e ditte di provata esperienza.

L’IMPIANTO ELETTRICO

L’impianto elettrico condominiale è destinato all’illuminazione delle parti comuni ed al funzionamento degli impianti di proprietà comune come l’ascensore, il bruciatore della centrale termica, l’autoclave, il funzionamento del citofono, dell’apriporta, della centralina T.V. ed altri possibili accessori o apparecchiature di sicurezza.
I conduttori per il trasporto dell’energia elettrica devono essere di adeguata sezione, riferita alla potenzialità di assorbimento del fabbisogno degli impianti, in filo di rame rivestito di materiale isolante, collocato all’interno di una tubatura isolante, ignifuga ed autoestinguente che in particolari casi dovrà essere in tubo di acciaio.
Ai sensi dell’art. 1117 del cod. civ., l’impianto elettrico è da considerarsi un impianto comune a tutti i condomini, salvo titolo contrario.
L’impianto elettrico assume oggi particolare rilievo. Infatti esso è disciplinato sia dalla recente legge 5 marzo 1990, n. 46 sulle “Norme sulla sicurezza degli impianti” sia dal DPR 6 dicembre 1991, n. 47, relativo al regolamento di attuazione della legge stessa e in ultimo dal Decreto Ministeriale nr. 37/2008, evoluzione della Legge 46/90, i quali si propongono di conformare gli impianti tecnici al fine di garantire la sicurezza delle persone, soprattutto negli ambienti domestici. Il termine per la verifica e il completamento degli impianti elettrici è scaduto il 31.12.1998, ai sensi dell’art. 31, legge 7 agosto 1997, n. 266. Tra le numerose norme, che si sono succedute nel tempo, ve ne sono alcune che rivestono ancora particolare rilievo. La prima, seppur finalizzata soltanto alla tutela degli ambienti ove si svolge una attività di lavoro subordinato, è il DPR 27 aprile 1955, n. 547. Infatti, l’art. 7 del suddetto Decreto si può’ collegare ad alcuni precetti della legge n. 46/90, in particolare laddove vieta la costruzione, la vendita il noleggio di macchine e l’installazione di impianti che non siano rispondenti alle norme di legge.
Successivamente, la legge 1* marzo 1968 n. 186 ha prescritto il requisito di sicurezza a tutti gli impianti elettrici, ovunque essi siano installati, e ha indicato le norme del Comitato Elettrotecnico Italiano, CEI, quale possibile strumento per l’attuazione degli impianti a “regola d’arte”. La terza norma fondamentale da tenere presente e’ la legge 18 ottobre 1977, n. 791 sull’attuazione delle direttive comunitarie in materia di garanzie di sicurezza di alcuni componenti elettrici. In tale legge e’ prevista l’esclusione dal mercato di quei prodotti non ritenuti sicuri da un organo vigilante, designato dal Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato. Peraltro anche la legge 23 dicembre 1978, n. 833 stabiliva che anche l’ambiente
civile dovesse essere sottoposto a controllo ed i relativi impianti elettrici dovessero essere dotati di requisiti minimi di sicurezza. Mancando, pero’ gli strumenti operativi per effettuare efficaci controlli in forza delle leggi precitate, il proposito della legge n. 46/90 e’ stato quello di porre rimedio a tutte le carenze delle precedenti normative, estendendo il concetto di “regola d’arte” dei componenti dell’impianto in questione anche alla sicurezza dell’impianto stesso, progettato, installato e verificato “a regola d’arte” nella sua completezza tecnologica. La legge n. 46/90 riguarda la sicurezza degli impianti. Sono soggetti a questa legge gli impianti elettrici installati negli edifici adibiti ad uso civile, siano essi destinati ad uso residenziale o di studio professionale, ed inoltre, installati in immobili destinati ad attività’ industriale, di intermediazione di beni o servizi, nonché’ negli uffici di culto ecc.. In pratica la legge in esame si applica agli impianti elettrici interni a tutti gli immobili. Non si applica, invece, agli impianti elettrici posti a monte dei contatori di utenza, di proprietà’ delle aziende produttrici di energia elettrica ed agli impianti elettrici all’aperto e non collegati ad impianti interni. Quindi, per impianti di utilizzazione di energia elettrica si intendono i circuiti di alimentazione degli apparecchi utilizzatori e delle prese a spina con esclusione degli equipaggiamenti elettrici delle macchine e degli apparecchi elettrici in genere. Con l’art. 7 della legge di cui trattasi, vengono quindi imposti, per tutti gli impianti elettrici, la messa a terra e l’interruttore differenziale ad alta sensibilità’ o altri sistemi di protezione equivalenti. Per interruttore differenziale ad alta sensibilità si intende quello avente corrente differenziale nominale non superiore a 1 ampere. La messa a terra, invece, protegge sia dal contatto diretto (toccare i fili in tensione) sia dal contatto indiretto (toccare una macchina che, per qualche motivo, riceve tensione da un cavo non isolato). Il regolamento di attuazione richiede, poi, che negli impianti siano realizzati secondo i principi ispiratori della norma C.E,I, 64-8, avente come oggetto gli impianti elettrici utilizzatori a tensione nominale non superiore a 1000 Volt. Gli impianti devono essere realizzati da imprese abilitate e iscritte alla C.C.I.A.A. o all’Albo degli Artigiani, in possesso di particolari requisiti tecnico- professionali. Dalla entrata in vigore della legge n. 46/90 la redazione del progetto da parte di professionisti, iscritti all’albo di loro appartenenza, è obbligatoria per l’installazione, la trasformazione e l’ampliamento degli impianti in questione.
Per gli impianti elettrici civili il progetto è obbligatorio quando la potenza impegnata supera i 6 Kw e, per le singole utenze domestiche di unita’ abitative, quando la superficie supera i 400 mq..
Nell’ambito condominiale rientra, quindi, tutto quello che riguarda le parti comuni, l’ascensore, l’autoclave, l’illuminazione, la centrale termica per i quali, normalmente, si superano i 6 Kw. Per gli impianti preesistenti all’entrata in vigore della legge n. 49/90, l’amministratore deve accertarsi che essi abbiano i requisiti di conformità’ richiesti dal regolamento di attuazione. Allo scopo, l’amministratore può avvalersi della collaborazione di un professionista o di un tecnico del settore, al quale può richiedere un “attestato di adeguamento” ai precetti della legge o, quanto meno, l’indicazione dei provvedimenti da porre in atto per l’adeguamento dei singoli impianti. Da ultimo, va ricordato che l’amministratore deve effettuare i lavori solo sulla parte comune dell’impianto e non anche sulle variazioni interne nelle singole unita’ immobiliari di proprietà’ esclusiva. Considerato, pero’, che è diffuso l’errato uso di equiparare alla messa a terra il collegamento dell’impianto elettrico alle tubazioni dell’acqua, l’amministratore deve porre in guardia ogni condomino dai rischi che ogni siffatta operazione comporta, vale a dire, la
trasmissione di corrente in altre unita’ abitative con rischi, in quest’ultime, di folgorazioni anche per contatto indiretto, come sopra definito.

ASCENSORE

Secondo quanto disposto dall’art. 1117, n. 3 c.c., l’impianto di ascensore di cui è dotato lo stabile condominiale appartiene a tutti i condomini in quanto serve all’uso e al godimento comune. Questa presunzione di comunione può essere esclusa solo dall’esistenza di un titolo contrario che attribuisca la proprietà di tale bene a una parte ristretta di condomini ed è operante nel caso in cui l’impianto di risalita sia stato installato contemporaneamente alla costruzione dello stabile. Diversamente, nel caso di una installazione successiva, l’ascensore appartiene a tutti i condomini o solo a quella parte di essi che abbiano provveduto a realizzare il nuovo impianto. Com’è noto, l’impianto di ascensore eseguito all’epoca della costruzione dell’edificio, o comunque in un momento precedente al sorgere della comunione (ovvero prima dell’alienazione delle singole porzioni di piano), è oggetto di proprietà comune presunta a norma dell’art. 1117 c.c. (v. artt. 1117, n. 3 e 1124, comma 1 c.c., come risultanti in seguito alla recente riforma). La prorietà dell’ascensore realizzato, invece, successivamente alla costituzione del condominio è regolata dalla disciplina delle innovazioni ex artt. 1120 e 1121 c.c. e ha quindi titolo nell’apposita deliberazione assembleare di approvazione dell’opera e di ripartizione delle relative spese, in favore soltanto di coloro che abbiano voluto l’impianto e sopporttato integralmente il suo costo. In pratica, l’ascensore che, pur essendo utilizzabile da tutti, sia stato però costruito a spese di uno soltanto dei condomini, rimane di proprietà esclusiva di questo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai sui vantaggi, contribuendo ai relativi costi di costruzione e manutenzione. Anche nel caso in cui l’ascensore sia stato installato successivamente alla costruzione dell’edificio, ma con il consenso di tutti i condomini, l’impianto si intende di proprietà comune fra tutti i partecipanti, in proporzione al valore del piano o porzione di piano di proprietà esclusiva, e la ripartizione delle spese relative all’ascensore rimane regolata, come si preciserà, dai criteri stabiliti dagli artt. 1124 e 1123 c.c. Nel dettaglio, rientrano tra le parti comuni inannzitutto i c.d. “volumi tecnici”, e quindi pure i vani destinati a contenere gli impianti di ascensore ovvero l’area di base del vano di corsa; quindi, ancora, tutte le cose mobili costituenti l’impianto di ascensore (Cassazione 27 febbraio 1976 n. 654).

La responsabilità dell’amministratore nella gestione dell’impianto

L’amministratore di condominio, nell’ambito del suo mandato, è tenuto a curare il rispetto della normativa tecnica e legislativa in materia di sicurezza di tutti gli impianti installati nell’edificio condominiale. Tale adempimento si rivela particolarmente impegnativo e rischioso in quanto il Legislatore, nel corso di quest’ultimo decennio, ha aggiornato in modo vertiginoso le normative in argomento (le quali non sono più esclusivamente di matrice nazionale, ma anche di derivazione europea), emanando specifiche disposizioni che hanno attribuito all’amministratore responsabilità civili e penali in diversi ambiti tra cui quello manutentivo e di gestione degli impianti presenti nei complessi condominiali. Alla luce delle recenti normative promulgate, l’amministratore deve non solo costantamente vigilare sull’adeguamento alle norme di sicurezza degli impianti comuni, ma anche dare attuazione a tutte le disposizioni legislative emanate ponendo in essere verifiche periodiche, comunicando agli uffici preposti la messa in esercizio degli ascensori e assicurando la disponibilità del libretto all’atto delle verifiche periodiche o straordinarie. Il sicuro funzionamento dell’ascensore è garantito dai controlli periodici che sono previsti dalla legislazione vigente in materia e per i quali è direttamente responsabile l’amministratore del condominio. Sarà, quindi, compito esclusivo dell’amministratore richiedere l’esecuzione delle verifiche – siano esse periodiche che straordinarie – mentre le relative spese dovranno essere poste a carico dei condomini in base ai millesimi di proprietà, trattandosi di spese che riguardano l’integrità del bene. In tale contesto si ricorda che il Legislatore era già intervenuto concretamente in questo settore con la recente modifica apportata dal D.M. sviluppo economico 23 luglio 2009 in merito alle misure e agli interventi volti all’adeguamento, nonchè al progressivo e graduale miglioramento, del livello di sicurezza degli ascensori installati e messi in esercizio permanente negli edifici e nelle costruzioni in epoca anteriore alla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 162/1999, collocandosi nell’ambito delineato dal T.U. sicurezza, D.Lgs. n. 81/2008. Tale decreto riaprì nuovamente il problema della disciplina della sicurezza e delle connesse responsabilità cui è tenuto l’amministratore di condominio. Si tratta di una tematica di particolare interesse e attualità, tanto da fornire spunti di riflessione e approfondimento del dibattito anche in tema di responsabilità condominiali, alla luce del T.U. sicurezza del lavoro recepito, appunto dal D.Lgs. n. 81/2008.